QUEL LONTANISSIMO IERI

Confesso che non so cosa darei per rivedere (da solo), come in un film, la mia infanzia e la stessa mia faniullezza.
Sarà pur stata fatta di avvenimenti (piccoli fin che vuoi) e l’una e l’altra: eppure riemergono solo pochi spezzoni, capaci di ricomporre un francobollo.
Ci deve essere in qualche parte tutto un carteggio di corrispondenza tra me e me stesso. E temo che sia perduto per sempre. Soprattutto la busta.
Un giorno, in seconda media, don Italo Porta, insegnante di religione, portò il discorso sul giudizio finale. Gli ho chiesto: ma allora vedremo tutta la nostra vita passata.
Lui aveva risposto: ma per questo non devi aspettare il giudizio finale: basta che tu guardi la tua coscienza.
Fui molto deluso. E lo sono ancora. La coscienza – fatta anche delle componenti di quel lontanissimo ossessivo “ieri” – è piuttosto perplessa, oscura, insicura.
In radice è così, nonostante il fusto, rami e foglie (e frutti, spero), germogliati da essa.